La
componente catastrofica che caratterizza il millennio che stiamo vivendo non
accenna a nessun tipo di calo di intensità. I pericoli provenienti dal medio
oriente, la migrazione di massa dalle zone di guerra, la desertificazione
galoppante del pianeta (che lascia pensare che la migrazione di massa non sia
dovuta solo alla guerra), la scarsità di risorse, il pericolo del terrorismo,
il partito repubblicano statunitense, sono tutti fattori che concorrono ad alimentare
un clima di disagio diffuso, solo marginalmente attutito dalla dilagante
povertà economica e culturale che caratterizza la contemporanea Europa
occidentale (il periodo appena scritto è
un paradosso).
Il
tacito accordo tra i media e la popolazione che ha accesso ai media sembra
prevedere che, vista la mancanza di un qualsiasi tipo di futuro leggibile in
chiave lontanamente ottimista, è meglio preoccuparsi dell’immanente
pericolosità del presente con l’obiettivo di considerare in percentuali poco
inferiori alla mortalità da tumore la possibilità di finire per morte violenta,
martiri di una lotta che non è dato sapere a chi appartenga. E possibilmente,
durante questa faticosa attesa, cercare di far circolare la maggior quantità di
denaro possibile tra un’esternazione di un parere non necessario e l’altra.
L’aria
che si respira nelle grandi città è quella di una specie di volontà di
cancellare le conquiste del rinascimento per rituffarsi con rinnovata energia
in una crociata reazionaria verso l’eccesso di libertà rese disponibili dalla
società, nonostante un ventennio di infarinatura a base di serie tv americane. La
visione generale che si ottiene guardando dall’esterno l’evolversi delle cose somiglia
in maniera curiosa alla leggenda del cervello del dobermann: una massa in
crescita oltre le capacità della sua scatola cranica che provoca intensi
attacchi di rabbia.