mercoledì 1 agosto 2018

Turbo-capitalismo e cinema tartaruga

Tra i pochi momenti di svago a sfondo sociale che mi concedo durante l’anno, il cinema è senza dubbio la mia soluzione preferita, o almeno è quello che ho fortemente voluto credere finora. Folgorato da bambino dalla proiezione della versione restaurata del primo episodio di Guerre Stellari alla mia prima sala cinematografica senza genitori, intuii subito che pochi luoghi pubblici al mondo potessero competere con le poltrone rosse, col buio, con lo schermo luminoso che occupa tutto il campo visivo: quanto di più vicino al concetto di astrazione l’umanità sia riuscita a regalarmi. Il passare del tempo non ha fatto altro che rafforzare questa mia passione, che comunque mi concedevo col contagocce, come si dovrebbe fare con tutte le cose belle; più passava il tempo e più la nebbia di nicotina si diradava, poi ci fu l’avvento dei multisala e anche l’ultimo ostacolo alla fruizione del mio bene spariva: l’intervallo. Non c’è dubbio che l’americanizzazione dell’esperienza del cinema non mi ha sconfortato più di tanto ed in effetti non posso negare che la maggior parte dei film che vedevo in sala fossero colossal americani. E in tutto ciò riuscivo ad alimentare la mia vena ribelle e anticapitalista facendo la cosa che più infastidisce il pubblico e che più mi piace fare ancora adesso: commentare il film a voce alta con gli amici, durante la proiezione. Non mi augurerei mai di capitare al cinema con me.