venerdì 11 dicembre 2020

La cosa giusta da fare

Quando non trovi una soluzione valida alle questioni della tua vita è soprattutto importante non cedere al leggero effetto depressivo di dieci giorni di pioggia ininterrotta che si sovrappongono ad un anno di chiusura in casa forzata da una pandemia globale. L’altra cosa importante da non fare è lasciare che le stesse situazioni sopra descritte amplifichino all’inverosimile i sentimenti che puoi arrivare a provare anche solo sentendo una persona. 

mercoledì 1 luglio 2020

Della normalità in tempo anormale

Non è facile essere una persona normale in questi anni complicati. Cosa sia normale poi è particolarmente difficile da stabilire in un mondo dominato da logiche di profitto completamente slegate dalla natura e in preda, in questo particolare momento, ad una pandemia che non si ha ancora idea di come affrontare. Scendendo nel dettaglio, il microscopico pezzo di vita che mi trovo ad affrontare non acquista in alcuna maniera un senso più normale, come se tutta l’esistenza umana fosse pervasa da una follia sulla quale essa si adagia e si lascia trasportare, affidandole in fondo il compito più gravoso: quello di andare avanti. A questo punto il gesto più folle diventa quello più normale del mondo e allora ci si trova in un loop di cose che non vanno mai come veramente vogliamo. Tutto ha così poco senso e così poca voglia di acquisirlo che non vale la pena di rivedere la punteggiatura, non cambierebbe nulla.

giovedì 5 marzo 2020

Recensioni impossibili: Doppio sospetto

Molto spesso, quando vediamo un film, ci accorgiamo di aver fatto un errore soltanto quando siamo seduti in una poltroncina rossa al buio. Un’altra verità che ho scoperto solo di recente è che le probabilità di commettere questo genere di errore aumentano esponenzialmente quando non sappiamo cosa vedere e mettiamo l’istinto, o chi ci accompagna, in condizione di decidere la nostra sorte. E allora capita che sulla scia di un ritrovato entusiasmo verso la settima arte ti fai trascinare al cinema in un anonimo martedì pre-quarantena e, non trovando il film che speravi di vedere, ti ritrovi ad essere 1 delle 4 persone accomodate nella sala Masrtroianni per assistere a un pluripremiato* thriller francese “in stile Hitchcock”.

Dopo la prima scena ultracaricata di tensione per l’organizzazione di una festa a sorpresa, capisco che la storia avrà presto dei risvolti drammatici e quando dico storia intendo quella della mia vita; va bene, anche quella del film precipita presto nella tristezza con il ragazzetto che precipita invece dalla finestra e lascia il film intorno al minuto 20. Non ho messo uno spoiler alert perché reputo che difficilmente qualcuno che legge questo articolo guarderà anche il film. A questo punto, mentre maledico a un volume udibile alla numerosa platea chi mi sta accanto, affogo il rammarico nelle patatine al mango ad un volume ancora più udibile mentre sullo schermo gli eventi prendono una lenta ma inesorabile piega psicodistruttiva che, ragionando a mente fredda, si sviluppa in parallelo al mio personalissimo psicodramma, solo più lentamente. 

Un paio di aperitivi imbarazzanti e uscite insensate del bambino sopravvissuto dopo, ci ritroviamo a capire che il destino spesso accoppia nelle villette bifamiliari famiglie con donne di mezza età psicolabili e paranoiche e che il sogno della casetta a un passo dalla città ma anche a un passo dalla campagna è alimentato da nient’altro che appositi farmaci: la conferma (non) tarda ad arrivare quando in un lunghissimo finale trascinato (probabilmente la mia percezione era già ampiamente compromessa) avvengono tre omicidi e si formerà una felice coppia madre-figlio mista che dall’ultima scena sembrerà non cavarsela neanche tanto male, viste le premesse. 

Quando si accendono le luci questa bizzarra giuria di quattro persone è unanime nel definire ciò a cui ha appena assistito un insulto a Hitchcock ma soprattutto nel criticare le brutte intenzioni, la maleducazione dei regazzini della Francia? Degli anni ’50? E quindi ci assegniamo un premio della giuria per la chiusura di un post con due latinismi istituito ad hoc in loco.


*un giorno esporrò la mia personalissima teoria secondo la quale determinate categorie creative possano istituire premi e contestualmente autoassegnarseli nella più grande indifferenza autocelebrativa possibile.